Leggo delle proteste sulla mancata spedizione a tassi agevolato delle riviste di settore, come Professione veterinaria, o 30 giorni, e un po' rimango perplesso. Sulle Poste Italiane ho una serie infinita di dubbi, sia chiaro. Ma questo argomento tocca la politica generale, ed il fatto che migliaia di pubblicazioni insensate vengano spedite spendendo quasi niente.
Fin qui, un discorso generale, dove ognuno ha le sue idee. Ma vorrei parlare di editoria ed informazione veterinaria. Chiunque abbia fatto un abbonamento o un'iscrizione ad un congresso all'estero, ha notato una cosa: che i costi sono enormemente più alti. In Italia costano meno grazie alla pubblicità e alle aziende di settore.
Questa cosa non è senza risvolti. La pressione delle aziende è enorme, e si riflette sulla formazione dei veterinari. Molti veterinari non hanno più idee sulla farmacologia e farmacia, sono dei fruitori di bugiardini e di rappresentanti. Se gli vengono raccontate tre balle da qualsiasi fonte, la bevono alla grande. Se chiedete dei consigli alimentari per il vostro cane, in moltissimi casi vi vengono consigliate due o tre marche di scatolette o crocchette, quelle "raccomandate dai veterinari". Tutto ciò a causa dell'enorme pressione dell'industria. Nessuno organizzerebbe un congresso contro le scatolette di mangime o contro i farmaci alla moda. Anzi, prostriamoci a ogni minima affermazione del produttore. Nessuno invita a valutare opzioni diverse in settori "sponsorizzati".
Anche l'editoria viene drogata, si crea un mercato fasullo: non conta più cosa scrivi, conta quante copie vengono spedite, anche gratuitamente, quanta pubblicità fai.
Magari la spedizione a tasso normale, non agevolato, è l'occasione per ripensare questo sistema. Ci sono anche aspetti su cui ho dovuto tagliare, ma un ripensamento, un nuovo modo di fare informazione e formazione è possibile. Se le menti non sono già del tutto obnubilate. Anche solo pensare al condizionamento dell'industria, come evitarlo o attenuarlo, mi pare già un risultato positivo, Se si riesce a toccare questo tabù. Abbiamo società scientifiche, giornali, che vivono di questa sudditanza. Figuriamoci se ci rinunciano..
25 aprile 2010
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