Non è stato il politico perfetto, ma d’altronde, chi è che lo è?
E’ mancato Domenico d’Addario, e secondo me merita un
ricordo un po’ più complesso di quello che gli è stato dedicato dalla
veterinaria ufficiale.
Veterinario pubblico della terra di Puglia, ha trascorso trent’anni in FNOVI, quindici da consigliere, quindici da Presidente.
Vituperato, inamovibile, denigrato, attaccato, ma certo personaggio. Personalmente, penso di avergli dedicato le peggio critiche. Una volta feci una vignetta fotomontaggio dove metteva la mano nella Bocca della Verità e gli incollai su due occhi fuori dalle orbite, strabuzzati.
A me sembrava spiritosa, non penso nemmeno l’abbia mai vista, ma se anche fosse stato, avrebbe reagito da signore meridionale quale era: una scrollata di spalle, financo una risata e forse
una battuta delle sue,
quelle inascoltabili, che non potevano farti ridere.
Continuo a ricordare quella che ai veterinari, e a lui impegnato in una
rielezione che avrebbe poi ovviamente vinto, come al solito, non si poteva dire
“In bocca al lupo”, perché poi loro avrebbero dovuto rispondere “crepi il lupo”,
e sarebbe stato contro la deontologia della professione. Ma te la diceva con
quella cortesia, quell’affabilità, che fosse vera o costruita, che oggi ricordiamo
con rimpianto. Forse sarà perché eravamo più giovani, forse perché formidabili
quegli anni, e non lo capivamo allora.
La fase più terribile dei rapporti con il SIVeLP fu in seguito alla scellerata e sperperatrice decisione FNOVI di acquisire “Il Progresso Veterinario”, e qualcuno dovrebbe ora rinfacciarlo, a chi guidò quell’operazione, che fu, come noi dicevamo, solo uno spreco di soldi dei veterinari, ma purtroppo abbiamo visto poi ben di peggio, e quella sembra una marachella di bambini con i pantaloni alle ginocchia, confrontata con l’aggressività, l’arroganza che poi abbiamo conosciuto con la nausea che oggi tiene tanti di noi lontani dalla politica della categoria.
Mentì in quell’occasione, certo, lo appurai personalmente controllando la corrispondenza di Mario Schianchi, suo contraltare di sproporzionata levatura, ma anche in quell’occasione mantenne comunque la sua compostezza, la sua educazione formale che ne fu la cifra di vita, che forse è la cifra di ogni Presidente, dalla polisportiva di quartiere alle massime istituzioni: un Presidente deve fare il conciliante, forse anche il conciliatore, deve essere sorridente con tutti, un pacioso, mentre la sua ambizione (per voler fare il Presidente, in qualunque caso, devi avere l’ambizione interna al fuoco rosso, altrimenti non ce la puoi fare) probabilmente gli urlerebbe le peggiori vendette.
Ma fare il Presidente è un po’ come fare il mediano, la palla la vedi ma la devi saper passare. Ecco, Domenico d’Addario, detto Mimmo, soffriva a non vedere la palla nelle sue gambe. Storiche le sue prese di parola, le sue “Comunicazioni del Presidente” dell’ordine del giorno, dove per interminabili ore i Consiglieri affondavano nelle loro silenziose maledizioni mentre erano costretti ad ascoltarlo, un po’ come i lunghissimi discorsi televisivi di Ceausescu (un po’ gli assomigliava, con la sua folta chioma), irrefrenabile.
Fu un dittatore, ma moderato, se non illuminato. Con lui la
veterinaria pubblica inaugurava l’uso della FNOVI come ufficio di pubbliche
relazioni pagato dai liberi professionisti per ottenere rappresentanza presso
le anticamere politiche a vantaggio dei dipendenti pubblici, un uso talvolta senza vergogna pure formalizzato in modo istituzionale.
Non potrebbe più essere Presidente, ora, in una deriva
animalista che avrebbe visto la sua piccola passione domestica, un casalingo
zoo da lui costruito e situato ad Oria, che gli ipocriti tempi attuali
avrebbero visto come proibito, ma che era la sua passione segreta (ma non
tanto, ne parlava volentieri).
Lo intervistai, nel 2009, su una radio web che ora nemmeno
esiste più, e lo trovai divertente, mentre altri lo videro come sottilmente allusivo
a dossier che lui avrebbe conservato e potuto tirare fuori al momento giusto,
anche se i momenti giusti per lui erano terminati. Ma fu come sempre educato e
cortese, di quella signorilità meridionale che il mondo odierno non sa più
trovare, ed è un grave peccato, non più originale ma forse finale (l’umanità,
forse l’humanitas inizia con un peccato e probabilmente terminerà con un
altro).
Chiuse la sua parabola aggredito dal cenacolo cremonese, e nel suo ultimo discorso si tolse il sassolino, ma sempre con stile, da Presidente.
Ci sentimmo poi al telefono, alcune volte, più per divertimento
che per altro, e avrei voluto andare, con due amici da bar di categoria, a
trovarlo in un viaggio in moto, un’avventura alla Pupi Avati, che invece non
facemmo mai, e ora rimpiango di aver trascurato.
Fu personalità, ed in questa Italia, dove pensi sempre che
peggio di così non può andare, e poi invece ci vai, eccome, rimpiangemmo spesso
la sua educazione fosse anche solo formale. Non ti avrebbe mai scritto prima di
averti parlato, avrebbe sempre ascoltato le tue ragioni, e non in modo partigiano,
ma da vero Presidente, quello che capisce che la forma è importante, è un
elegante codice di galateo e non solo questo.
Fu un signore, eccome,
e penso che questo sia il suo vero
grande insegnamento di cui avremmo enorme bisogno: mai arrogante, sempre
educato.
Caro Mimmo (mai lo chiamai così), mi dispiace che i tempi ed
i modi siano così degradati, e io, che ho conosciuto i giganti, so che sono
esseri mostruosi nella loro statura, che compiono passi così ampi, così
distanti nel tempo e nelle società, che quando ti volti indietro a guardare
vedi la distanza percorsa, e capisci che è ormai irreversibile, e dovrai per
sempre qualcosa a chi quel tragitto lo ha percorso, sempre con il tuo sorriso
cortese che dovremmo recuperare. Non ce lo faranno fare, pieni di aggressività
e cattiveria come sono, e questo sia il più grande rimpianto di tutti coloro
che ti hanno conosciuto. Mancherà a tutti, anche se non lo sapranno. Scenderemo
nel gorgo muti.