4 dicembre 2020

Visti da vicino. Domenico d'Addario.

 


Non è stato il politico perfetto, ma d’altronde, chi è che lo è?

E’ mancato Domenico d’Addario, e secondo me merita un ricordo un po’ più complesso di quello che gli è stato dedicato dalla veterinaria ufficiale.

Veterinario pubblico della terra di Puglia, ha trascorso trent’anni in FNOVI, quindici da consigliere, quindici da Presidente. 

Vituperato, inamovibile, denigrato, attaccato, ma certo personaggio. Personalmente, penso di avergli dedicato le peggio critiche. Una volta feci una vignetta fotomontaggio dove metteva la mano nella Bocca della Verità e gli incollai su due occhi fuori dalle orbite, strabuzzati.

 A me sembrava spiritosa, non penso nemmeno l’abbia mai vista, ma se anche fosse stato, avrebbe reagito da signore meridionale quale era: una scrollata di spalle, financo una risata e forse

una battuta delle sue, 

quelle inascoltabili, che non potevano farti ridere. Continuo a ricordare quella che ai veterinari, e a lui impegnato in una rielezione che avrebbe poi ovviamente vinto, come al solito, non si poteva dire “In bocca al lupo”, perché poi loro avrebbero dovuto rispondere “crepi il lupo”, e sarebbe stato contro la deontologia della professione. Ma te la diceva con quella cortesia, quell’affabilità, che fosse vera o costruita, che oggi ricordiamo con rimpianto. Forse sarà perché eravamo più giovani, forse perché formidabili quegli anni, e non lo capivamo allora.

La fase più terribile dei rapporti con il SIVeLP fu in seguito alla scellerata e sperperatrice decisione FNOVI di acquisire “Il Progresso Veterinario”, e qualcuno dovrebbe ora rinfacciarlo, a chi guidò quell’operazione, che fu, come noi dicevamo, solo uno spreco di soldi dei veterinari, ma purtroppo abbiamo visto poi ben di peggio, e quella sembra una marachella di bambini con i pantaloni alle ginocchia, confrontata con l’aggressività, l’arroganza che poi abbiamo conosciuto con la nausea che oggi tiene tanti di noi lontani dalla politica della categoria


Mentì in quell’occasione, certo, lo appurai personalmente controllando la corrispondenza di Mario Schianchi, suo contraltare di sproporzionata levatura, ma anche in quell’occasione mantenne comunque la sua  compostezza, la sua educazione formale che ne fu la cifra di vita, che forse è la cifra di ogni Presidente, dalla polisportiva di quartiere alle massime istituzioni: un Presidente deve fare il conciliante, forse anche il conciliatore, deve essere sorridente con tutti, un pacioso, mentre la sua ambizione (per voler fare il Presidente, in qualunque caso, devi avere l’ambizione interna al fuoco rosso, altrimenti non ce la puoi fare) probabilmente gli urlerebbe le peggiori vendette.

Ma fare il Presidente è un po’ come fare il mediano, la palla la vedi ma la devi saper passare. Ecco, Domenico d’Addario, detto Mimmo, soffriva a non vedere la palla nelle sue gambe. Storiche le sue prese di parola, le sue “Comunicazioni del Presidente” dell’ordine del giorno, dove per interminabili ore i Consiglieri affondavano nelle loro silenziose maledizioni mentre erano costretti ad ascoltarlo, un po’ come i lunghissimi discorsi televisivi di Ceausescu (un po’ gli assomigliava, con la sua folta chioma), irrefrenabile.

Fu un dittatore, ma moderato, se non illuminato. Con lui la veterinaria pubblica inaugurava l’uso della FNOVI come ufficio di pubbliche relazioni pagato dai liberi professionisti per ottenere rappresentanza presso le anticamere politiche a vantaggio dei dipendenti pubblici, un uso talvolta senza vergogna pure formalizzato in modo istituzionale.






Terribile il suo uso delle virgolette. Se cercate un suo documento (lo troverete senza fatica) lo vedrete infarcito di virgolette a sproposito, in un uso errato, che a me, veterinario che legge Gadda e Proust (lo so, snobismo), faceva soffrire in modo quasi fisico, lo trovavo inaccettabile testimonianza di un solipsismo che nessuno poteva contrastare, financo nell’ortografia. Mi chiedevo se nessuno poteva dirgli che le virgolette non si usano così, e che un documento sgrammaticato non ci faceva fare bella figura, era un brutto biglietto da visita.

Non potrebbe più essere Presidente, ora, in una deriva animalista che avrebbe visto la sua piccola passione domestica, un casalingo zoo da lui costruito e situato ad Oria, che gli ipocriti tempi attuali avrebbero visto come proibito, ma che era la sua passione segreta (ma non tanto, ne parlava volentieri).

Lo intervistai, nel 2009, su una radio web che ora nemmeno esiste più, e lo trovai divertente, mentre altri lo videro come sottilmente allusivo a dossier che lui avrebbe conservato e potuto tirare fuori al momento giusto, anche se i momenti giusti per lui erano terminati. Ma fu come sempre educato e cortese, di quella signorilità meridionale che il mondo odierno non sa più trovare, ed è un grave peccato, non più originale ma forse finale (l’umanità, forse l’humanitas inizia con un peccato e probabilmente terminerà con un altro).

Chiuse la sua parabola aggredito dal cenacolo cremonese, e nel suo ultimo discorso si tolse il sassolino, ma sempre con stile, da Presidente. 



Ci sentimmo poi al telefono, alcune volte, più per divertimento che per altro, e avrei voluto andare, con due amici da bar di categoria, a trovarlo in un viaggio in moto, un’avventura alla Pupi Avati, che invece non facemmo mai, e ora rimpiango di aver trascurato.

Fu personalità, ed in questa Italia, dove pensi sempre che peggio di così non può andare, e poi invece ci vai, eccome, rimpiangemmo spesso la sua educazione fosse anche solo formale. Non ti avrebbe mai scritto prima di averti parlato, avrebbe sempre ascoltato le tue ragioni, e non in modo partigiano, ma da vero Presidente, quello che capisce che la forma è importante, è un elegante codice di galateo e non solo questo.

Fu un signore, eccome,

 e penso che questo sia il suo vero grande insegnamento di cui avremmo enorme bisogno: mai arrogante, sempre educato.

Caro Mimmo (mai lo chiamai così), mi dispiace che i tempi ed i modi siano così degradati, e io, che ho conosciuto i giganti, so che sono esseri mostruosi nella loro statura, che compiono passi così ampi, così distanti nel tempo e nelle società, che quando ti volti indietro a guardare vedi la distanza percorsa, e capisci che è ormai irreversibile, e dovrai per sempre qualcosa a chi quel tragitto lo ha percorso, sempre con il tuo sorriso cortese che dovremmo recuperare. Non ce lo faranno fare, pieni di aggressività e cattiveria come sono, e questo sia il più grande rimpianto di tutti coloro che ti hanno conosciuto. Mancherà a tutti, anche se non lo sapranno. Scenderemo nel gorgo muti.

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