4 febbraio 2015

I sommersi ed i salvati (o i certificati)

"E cio che è Bene, Fedro, e ciò che non è Bene, dobbiamo chiedere ad altri di dirci queste cose?" (Robert Pirsig, citando Platone, Il Fedro)

Mi chiede un Collega e caro amico cosa io ne pensi della certificazione di qualità, argomento tirato fuori da un articolo apparso sulla rivista FNOVI, che come al solito ha scatenato polemica.

Ci riferiamo invece alla certificazione Iso, già attualmente possibile per i professionisti.

Cosa ne penso è presto detto. La certificazione di Qualità non serve a dare un miglior servizio, nemmeno è di per sé indice di miglior qualità del lavoro veterinario, ma non è comunque un argomento negativo. 

Torniamo al problema fondamentale di questa FNOVI, e cioè che interviene con modi di fare inadeguati su ogni argomento, realizzando divisioni anche dove si potrebbe invece cercare unione e sinergia. Questa è una FNOVI che ha una fondamentale ignoranza della Politica, nel senso di ricerca di un terreno comune, di mediazione e condivisione delle scelte ai fini di un vantaggio generale. Procede a colpi di scimitarra dove servirebbe invece un laser.

Sembra invece che questa Federazione sia popolata da figure che intervengono sempre in modo prepotente, decisionista, con l'aria di chi pensa di poter imporre le cose dall'alto, in modo assolutistico.

Non deve essere così, e può anche darsi che il problema non sia di atteggiamento ma piuttosto di comunicazione, fatto che comunque non diminuirebbe la gravità della cosa, il creare divisioni e polemiche che poi rendono di fatto impossibili le riforme di cui invece la categoria avrebbe molto bisogno. La FNOVI è un arbitro che si è messo a tirare calci al pallone, o comunque ne dà l'idea, cosa pure peggiore.

Torniamo alla certificazione di qualità, che di per sé è una somma di annotazioni e la creazione di un protocollo operativo del veterinario. Presumibilmente l'utilità nei confronti del cliente è pressoché nulla: la diagnosi veterinaria è legata all'esperienza e alle capacità individuali del clinico, non dipendente dai metri quadrati dell'ambulatorio o dall'attrezzatura. Ci sono veterinari che operano in piccoli buchi, magari in modo disorganizzato, ma con grande efficacia diagnostica e terapeutica.

Nell'ambito del "clinical problem solving" è ben conosciuto, anche se forse ignoto alla veterinaria italiana, il "paradosso della diagnosi", per cui un clinico principiante raccoglie moltissimi dati e non arriva alla diagnosi mentre un clinico esperto con poche domande ben poste e pochi esami riesce ad fare diagnosi e terapia.

Questo per dire che verosimilmente il cliente non riceverà un servizio migliore dalla certificazione di qualità, anzi potrebbe riceverlo pure peggiore se il clinico interpreta la certificazione con presunzione, pensando che "poiché sono certificato allora faccio tutto bene".

La certificazione è legata in buona parte ai processi industriali, dove ha il suo maggior senso, ma lo è certamente meno nell'ambito dei servizi professionali. Inoltre è poco vendibile in veterinaria, mentre lo potrebbe essere di più ad esempio in ambito legale o amministrativo: i tempi e i metodi di un'arte, quale è sostanzialmente quella medica, non sempre sono compatibili con una schematizzazione che invece decisamente importante in ambito industriale.
Insomma, il rischio di creare maggior burocrazia senza un reale miglioramento del servizio esiste ed è importante, soprattutto se questa cosa venisse calata in professionisti che non ne hanno ricevuto la cultura, magari già a livello universitario.

Ma

non voglio dire che questa cosa sia negativa, o meglio è forse sbagliato il fine, certamente sbagliato il metodo, ma alcuni problemi è giusto che vengano posti. Le questioni relative ad un ammodernamento del servizio, ad un miglioramento dell'operatività veterinaria, sono importanti e fondamentali.

Il problema è che queste cose prima devono essere dibattute, ragionate,riflettute e e solo dopo devono essere scritte, senza pregiudizi di discussione o presunzioni di "superiorità". Non mi nascondo dietro ad un dito: esiste una catena di veterinari, il gruppo CVIT, che ha fatto della certificazione di qualità un suo forte slogan. Tale catena, presieduta dal Collega Carlo Scotti, indubbiamente forte in FNOVI, viagga indubbiamente in questa direzione, non so se perché pensa di trarne un vantaggio commerciale (legittimo) o per altre opinioni. Tutto ciò non è negativo, anche se probabilmente allontana in realtà operatori dalla vera cultura della Qualità. Non so quanto esista o meno una pressione del gruppo CVIT su FNOVI, cosa ovviamente difficile da sapere direttamente.

È però corretto e doveroso porsi il problema delle riforme all'interno della professione, lavorando probabilmente a tutto campo, sia sulle istituzioni che sui professionisti e sul modo in cui lavorano, ma mi viene il sospetto che voler porre in questi termini sia un modo per continuare a non realizzare le riforme e lasciare a qualcuno l'illusione "di essere migliore".

Questo sarebbe uno sbaglio, anche se dobbiamo ammettere che troppi veterinari italiani agiscono interpretando la loro professione come un terreno di scorribanda, ed i loro clienti non hanno molte possibilità di difesa, tanto meno dal sistema ordinistico, tanto meno lo avrebbero da una certificazione di qualità.

Certamente resta sul tavolo la domanda di come fare, e su questo ci possono essere opinioni differenti, ma una certezza possiamo averla, ed è sul come non fare, non agendo come questa Federazione agisce, senza ragionare con i veterinari, probabilmente tirata al proprio interno da troppi interessi particolari che a volte con la professione non c'entrano molto. Sarebbe stato preferibile, è preferibile, un piccolo passo per tutti rispetto ad una piccola polemica, che tra l'altro non sarà di nessuna utilità per uno sviluppo pratico della veterinaria. Ci domandiamo anche che senso abbia che gli Ordini, che non riescono a diffondere nemmeno il minimo rispetto di regole base, diffondano gli Enti certificatori. Sarebbe come se uno andasse dalla Polizia e si sentisse dire "si rivolga ad una guardia privata". In ogni caso, esplicita ammissione di inefficienza ed incapacità.

Per i proprietari:

- probabilmente già lo fate, ma non fatevi abbindolare da chi vi promette un luccichio di una certificazione di qualità. Piuttosto siate espliciti, chiedete voi sin dall'inizio la Qualità. Occorre avere sempre, immediatamente, una cartella clinica che renda conto dell'operato del veterinario. Chiedete quale sia, di fronte ad un intervento proposto o ad una una scelta terapeutica, l'opzione alternativa. Chiedete quale sia l'esperienza concreta del veterinario che avete davanti. Non pensate che più veterinari che lavorano o più metri cubi di ambulatorio siano meglio, perché a volte sono peggio, se nasce un rimpallo e una spersonalizzazione sempre dannosi.

- per i Veterinari: intraprendete un percorso di Qualità personale, dedito fortemente al miglioramento del servizio, in modo reale e non fittizio, dettato da altri in base a scartoffie. La cartella clinica è strumento prezioso ed insostituibile. Se cercate in questo blog con i termini "cartella clinica" troverete molto. Non siamo nemmeno alla Qualità, ma almeno ad un minimo. Iniziate a pensarci su. Ne guadagnerete di certo. Altrimenti prima o poi qualcuno vi chiederà le cose, e sarete fortunati se sarà il vostro cliente. Potrebbero essere altri veterinari, ed allora magari potrebbe essere peggio.

PS: la citazione di Platone deriva da un bel libro, appassionante, di Robert Pirsig, "Lo Zen e l'are della manutenzione della motocicletta". Un bel libro. Leggetelo.

1 commento:

dr. comoglio ha detto...

La certificazione serve a DIMOSTRARE tale supposta capacità al cliente. Se no per quale motivo uno, ottenutala, la sfoggerebbe? Il problema è che nell'immaginario comune la certificazione viene percepita dall'utenza come "garanzia di qualità" del servizio (o prodotto) offerto in senso lato. Cosa che, almeno nel nostro settore e per ammissione degli stessi "certificatori", non è vera. Ne consegue che la certificazione diventa una forma di pubblicità ai limiti dell'ingannevole. Personalmente comunque, ritenendo a dir poco improbabile che il cliente scelga il proprio veterinario di fiducia sulla base del fatto che sia certificato o no, non sono contrario alla certificazione (a condizione che rimanga facoltativa). La considero semplicemente un cattivo investimento costituendo un costo che non produce un aumento di incassi. Questo per quanto riguarda la certificazione della struttura, su quella della persona, oggi oggetto di ancor più accesa discussione, la questione è assai diversa...