Certamente l'azione
più incisiva e moderna sul tema del farmaco veterinario è stata realizzata nel
corso dell'ultimo anno dal SIVeLP, e bisogna dare atto dopo al suo Segretario
Nazionale Angelo Troi di aver colto nel segno molte volte, attuando una strategia efficace.
Il settore è
purtroppo dominato dalle lobbies farmaceutiche, sia a livello nazionale che
europeo, e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti (clicca)
a parità di principio
attivo il farmaco veterinario italiano costa 3,4, 8,10 volte di più che non
quello umano o quello europeo. Un vermifugo per cavalli costa in Italia più di
venti euro, all'estero lo acquistate per dieci.
I veterinari rischiano pesantissime sanzioni cercando di fare il corretto interesse del proprietario dell'animale, prescrivendo a parità efficacia il prodotto più economico. Addirittura è stato modificato anche il codice deontologico che in una versione di circa una decina di anni fa obbligava il veterinario a scegliere, in condizioni di eguaglianza, il prodotto meno costoso.
Il grosso problema è
che qualcuno sta giocando anche con le istituzioni veterinarie, con la FNOVI e
con gli Ordini.
Si è svolta recentemente una riunione esplicitamente "a porte chiuse" per parlare di questo problema nella sede della Federazione degli Ordini. La cosa strana è che non sia stato presente il Sindacato dei veterinari, tanto meno rappresentanze del movimento che in questo ultimo anno ha protestato contro lo stato di cose del farmaco veterinario, e che non si abbia nessun resoconto dettagliato di chi ha detto che cosa in questa riunione.
A giudicare da un intervento televisivo di ANMVI, associazione che ha un suo forte peso in FNOVI, si può ben temere che si voglia fare l'esercizio del Gattopardo, affermando di voler cambiare tutto perché non cambi in realtà niente. Si arriva alla solita richiesta di abbassare l'IVA sulle prestazioni veterinarie o sul farmaco veterinario, quando si dovrebbe sapere che verosimilmente questa richiesta non verrà accettata, che in altre nazioni l'IVA sul farmaco veterinario è addirittura più alta (in Francia il farmaco ha un'IVA normale del 19% esclusi i farmaci destinati alla riproduzione che pagano l'IVA al 10%), quand'anche questa richiesta venisse accolta creerebbe un ulteriore danno ai veterinari, derivante dal fatto che i veterinari possono dispensare il farmaco unicamente come "prestazione veterinaria", quindi con IVA al 22 + 2% di cassa previdenziale.
In competizione con i
grossisti e i farmacisti, i veterinari partono svantaggiati proprio per questo
motivo acquistano: acquistano il farmaco con l'Iva del 10% e devono rivenderlo
con il 22 + 2%, lottando quindi ad armi impari
Quello che non si
capisce è
perché una lotta storica dei veterinari italiani, che hanno sempre
affermato di voler vendere il farmaco come tutti i loro colleghi stranieri non
venga portata avanti in questo momento.
Perchè tutti gli intervistati, dalla rappresentante del famoso "gruppo farmaco" della FNOVI al presidente ANMVI, non dicono una cosa molto semplice, e cioè che fare "vendere" e non "dispensare" il farmaco dai veterinari consentirebbe un abbattimento dei costi?
Esiste una forte
pressione da parte di frange della professione veterinaria per costringere
all'obbligatorietà dell'uso del farmaco veterinario, mantenendo la norma già in
atto adesso. L'idea che queste frange hanno è che in tal modo si restringa il
mercato e quindi la distribuzione tramite i veterinari se ne avvantaggi,
traendone un reddito. Visione molto miope, soprattutto non funzionante, anche
considerato il momento storico, in cui i proprietari hanno una grande
attenzione al risparmio e quindi cercano sempre la fonte più economica.
Un altro brutto
sospetto che viene è che le industrie farmaceutiche, fortemente sostenitrici di
FNOVI e ANMVI tramite la pubblicità, esercitino una pressione per mantenere lo
status quo, opponendosi a ogni riforma.
Le proposte invece
che dovrebbero essere portate avanti, sentite dalla categoria, sono quelle di
- libertà di
prescrizione tra farmaci umani e veterinari
- libertà di
prescrizione di principio attivo
- possibilità per il
veterinario di vendere il farmaco con Iva paritaria a quella dell'altra
distribuzione (grossisti e farmacisti)
- libertà del veterinario
di poter frazionare la confezione vendendo al proprietario unicamente la
quantità necessaria alla terapia
La speranza è solo
che la categoria smetta di abbeverarsi alle fontane dei facili slogan e luoghi
comuni nella quale qualcuno cerca di spingerla e che soprattutto nessuno cerchi
di giocare con le istituzioni veterinarie, togliendole dallo Stato di
immobilismo e conservatorismo, con anche qualche dubbio peggiore, in cui
versano adesso.
Nessun commento:
Posta un commento