16 gennaio 2015

Perché i veterinari italiani e i movimenti animalisti non si amano? Alcune considerazioni.

Quali sono i rapporti tra la veterinaria e i movimenti animalisti, in Italia?
La domanda nasce dalla constatazione di un disagio diffuso tra i professionisti della salute degli animali e coloro i quali invece sono interessati personalmente, politicamente, culturalmente, al benessere degli animali.

A parlare con i veterinari, a leggerne le affermazioni sui sociali network o in generale, l'impressione che se ne ricava è che vi sia frizione se non addirittura vero e proprio conflitto. Una cosa strana, a pensarci. In fondo l'interesse comune è quello di un miglior stato dell'animale, quindi dovremmo aspettarci almeno un quieto vivere se non una sinergia. Perché ciò non avviene e addirittura sembra che soprattutto i professionisti siano risentiti contro coloro che amano gli animali?

Il punto fondamentale è certamente quello economico, perché soprattutto nella nostra nazione sembra essere diffusa la richiesta che la prestazione veterinaria sia effettuata a prezzi stracciati, a volte gratuiti, oppure venga pagata da parte dello Stato.

Tale richiesta, accoppiata ad un esteso senso del cosiddetto "amore per gli animali", disgiunto da un senso di "responsabilità per gli animali" produce effetti devastanti.

La prestazione veterinaria ha delle caratteristiche certamente peculiari, e quella che ci interessa qui è che il suo costo di produzione è alto. Lo so anch'io che un vaccino costa poco come materiale, ma le spese generali, la tassazione, la formazione ECM incidono pesantemente sul prezzo al consumatore.

Questo avviene per la prestazione veterinaria come per qualsiasi altro bene prodotto in Italia, lo sappiamo tutti. Aggiungiamo ancora il fatto che le prestazioni di urgenza richiedono una presenza costante del professionista all'interno del suo ambulatorio: se io vado dal veterinario alle 11 del mattino, lui ci mette anche solo un quarto d'ora a effettuare la prestazione, ma devo comunque capire che questa disponibilità continua ha un costo estremamente alto, perché richiede molte ore di presenza fisica all'interno dell'ambulatorio.

Nasce in qualche caso allora la pretesa che lo Stato si faccia carico delle spese veterinarie, soprattutto di quelle più comuni (sterilizzazioni sessuali) o impreviste e ad alto prezzo (interventi di urgenza, sostanzialmente). Tale richiesta è ovviamente slegata da ogni sensatezza economica.


Premesso che uguali prestazioni dovrebbero essere assicurate a tutti i cittadini, creare strutture veterinarie realmente efficienti sul territorio nazionale è praticamente impossibile senza un costo spropositato, e maturità vorrebbe si capisse che questo costo significa nuove tasse pagate dai cittadini, anche da quelli che non possiedono un animale.

Oltre tutto, si dovrebbe capire che tale assistenza sarebbe riservata a determinati animali e non ad altri, a cani e gatti si mentre magari ai conigli di affezione no. Inoltre, la prestazione veterinaria è fonte di responsabilità individuali, che devono sempre essere chiaramente individuate. Che si operi a vantaggio di un privato da parte di una struttura pubblica è francamente cosa difficile da realizzarsi, e a dire il vero non viene ipotizzata in nessun paese del mondo. In generale quindi, pensare che la finanza pubblica possa pagare i costi della veterinaria professionale è abbastanza insensato. Esiste, è vero, la questione degli animali randagi, ma anche questa viene affrontata molto spesso con superficialità, con la domanda rivolta ai veterinari "è un randagio, io faccio già opera di bene a dargli da mangiare, perché dovrei pagare pure le spese per la sua salute?", 

Anche questa è espressione di immaturità economica, pur se con qualche fondamento generale.

Un altro motivo di attrito tra i movimenti animalisti e la veterinaria nel suo complesso sta nell'atteggiamento spesso assolutistico e intransigente che in molti casi viene espresso da questi ultimi, relativamente ai più vari aspetti dell'economia contigua agli animali (allevamento e commercio, essenzialmente).

Questo è un problema anche più generale che riguarda la maturazione dei movimenti animalisti che devono scegliere se continuare con toni integralisti oppure cercare una mediazione all'interno della società per raggiungere obiettivi concreti.

In ogni caso, all'interno della veterinaria alcuni enti sembrano avere in qualche momento appoggiato i movimenti animalisti presumibilmente allo scopo di trarne un vantaggio politico.

Secondo me questo è capitato sia con la FNOVI che con ANMVI, probabilmente nel primo caso (e anche nel secondo) per trarne un vantaggio di visibilità politica, nel secondo sperando di ottenere un appoggio verso la promulgazione degli sciagurati LEAVET (livelli essenziali di assistenza in veterinaria), cosa che comunque a mio parere rivela una grande miopia strategica: se passassero i LEAVET noi troveremmo immediatamente aperti gli ambulatori pubblici, con il solito spreco italiano. Abbastanza illusorio pensare di trarne un profitto a titolo privato.

Anche alcuni veterinari assecondano, magari perché hanno un personale buon rapporto umano o commerciale con qualche associazione protezionistica, i movimenti animalisti. Intendiamoci, non generalizzo e penso che sia probabile che in alcune realtà si sia creata un'ottima sinergia veterinaria-animalismo con soddisfazione di entrambe le componenti. In ogni caso, mi pare che l'assecondamento sia più un cedere ai luoghi comuni da parte dei veterinari che non un comprendere la realtà veterinaria da parte degli enti animalisti. Abbiamo quindi l'appiattimento sulle posizioni delle sterilizzazioni, oppure le battaglie che vanno dal vegetarianesimo alla lotta ai circhi, insomma, mi sembra che in qualche caso i veterinari cerchino più di farsi belli con questi potenziali o reali clienti che non di intavolare un rapporto di reciprocità. Una presa di posizione un po' paracula, se mi è consentito il termine.

Le associazioni animaliste assorbono spesso buona parte dei soldi ricevuti per le proprie strutture, guardandosi bene dal destinarle all'effettiva salute degli animali. Prima ci sono i professionisti dell'animalismo, forme precursorie o pensionistiche di politici di serie B. Il singolo iscritto, certamente in buona fede, si trova quindi a vedere utilizzabile una minima percentuale del denaro che circola nel sistema, dovendo quindi risparmiare fino all'osso per compensare gli sprechi fatti ad alto livello.

Una delle cause fondamentali di questo rapporto difficile è certamente nella politica, che cerca un facile consenso con proclami di facciata relativi agli animali. Insomma, è ancora recente il fenomeno Dudù e quello di "veterinario gratis per tutti". La politica, che dovrebbe essere per definizione l'elaborazione di un terreno comune, una mediazione sociale tra le diverse esigenze, ha rinunciato in Italia a fare il proprio dovere, preferendo esprimersi con un tweet che non con ragionamenti magari più complicati.

All'interno della veterinaria abbiamo certamente una carenza di tipo filosofico, culturale, ma anche tecnica: manca una preparazione a discutere di questi temi in modo non ideologico e comprendendo appunto la necessità della mediazione culturale tra le diverse posizioni. Le nostre università non preparano, tanto più nel caso delle nuove leve, allevate culturalmente a pane e Disney, a questi discorsi, appunto culturali, filosofici e culturali.

Quello che manca è complessivamente un progetto, un programma globale che rifiuti la polarizzazione dei discorsi, cosa che invece abbiamo visto in questi anni, in cui si è preferito andare verso un estremismo, dividere le posizioni in modo assolutista in buoni e cattivi.

Certamente l'esperienza dei comitati bioetici, soprattutto del Comitato bioetico per la veterinaria, all'interno dell'Ordine di Roma, è stata importante e dobbiamo rimpiangere che sia naufragata a causa di personalismi, veti incrociati, posizioni forse di bandiera. Una possibile soluzione potrebbe essere, con condizioni da valutarsi, l'introduzione di una partecipazione diretta delle rappresentanze animaliste all'interno degli Ordini. So bene di far sobbalzare qualcuno sulla sedia, ma progettare un'integrazione tra la componente veterinaria e quella animalista potrebbe essere realmente una soluzione e una sinergia di funzionamento, sempre che nessuno cerchi di trarne un vantaggio di posizione, qualche movimento cercando di tirarne fuori un vantaggio commerciale, analogamente per qualche veterinario.

Un'altra delle mancate riforme che sta bloccando non solo la veterinaria, ma tutta l'Italia, dove manca una nuova progettualità e l'esplorazione di possibilità che portano con sé anche qualche incognita. Solo superando questo impasse l'Italia potrebbe sperare di ripartire, senza accettare invece l'inevitabile implosione per tutto il Paese. Ma questo è un discorso più complesso...

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