L’anemia infettiva è tornata in Italia, o meglio si sono verificati nuovi casi.
Di per sé, non è che sia una notizia tra le più eccitanti, ma mi sembra che si possano fare dei commenti interessanti soprattutto su un grande travisamento.
Innanzitutto, l'anemia infettiva è una malattia dei cavalli che decorre in modo molto spesso inapparente, e può essere rilevata con un semplice esame del sangue, il test di Coggins.
Non è epidemica, non ha una contagiosità elevata, la semplice applicazione del prelievo ne consente il controllo. I casi presenti residuano da anni ormai delle zone nell'appennino centrale, emiliano e ligure dove i cavalli non vengono sottoposti al prelievo annuale, e quindi si sviluppano forme di malattia.
A me pare interessante notare come, a fronte di una situazione in cui è evidente che il sistema pubblico da solo non riesce a funzionare, non venga modificata l'impostazione pubblico-centrica della nostra veterinaria.
Faccio un esempio: il Corpo Forestale dello Stato ha applicato delle sanzioni, fatto delle multe, a veterinari pubblici che non avevano effettuato i prelievi previsti. La FNOVI ha criticato questo fatto, e fin qui, sebbene con alcune distinzioni, mi sembra corretto. Quello che non si capisce è perché non proporre una semplicissima soluzione, e cioè quella di far effettuare i prelievi dai liberi professionisti, dotandoli di apposita autorizzazione. È quello che succede da sempre in Piemonte, ad esempio, dove l’anemia infettiva non ha mai trovato un grande sviluppo. Si verificano casi molto isolati, ma certamente la presenza della malattia è limitata. I veterinari pubblici eseguono i prelievi del sangue, ma lo fanno anche molti veterinari liberi professionisti, che effettuano il prelievo pagati direttamente dal proprietario, affiancando così l'opera di prevenzione del sistema pubblico. Un metodo semplice, pratico, economico, efficace.
In molte altre Regioni invece i liberi professionisti non possono effettuare questi prelievi. In qualche caso ci sono delle convenzioni tra aziende sanitarie locali e liberi professionisti, ma molte volte si tratta di "aiutare gli amici degli amici", non è un sistema, ma unicamente un'eccezione.
Questa è l'impostazione della nostra veterinaria, tutta centrata sul pubblico e che non considera la libera professione. È un'impostazione molto vecchia, datata di circa cinquant'anni, quando esistevano i veterinari condotti, che avevano una funzione pubblica e poi, a tempo perso (o viceversa) facevano anche la libera professione. Fu in quei momenti che nacque il sistema pubblico della veterinaria, e i veterinari erano sostanzialmente i “condotti”. I pochi liberi professionisti che vennero in quell'epoca furono osteggiati da subito, messi in condizione di non poter "dare fastidio". Nonostante ciò, lavoravano discretamente anche loro, visto che offrivano un servizio professionale migliore del condotto, normalmente erano più aggiornati, mediamente più disponibili.
I tempi sono cambiati, e i liberi professionisti sono la stragrande maggioranza dei veterinari italiani, ma l'impostazione della veterinaria rimane la stessa, quella basata sul servizio pubblico, anche a costo di affondare tutti.
Questo vale tanto più con il cavallo, animale che non è così semplice da maneggiare, per il quale si richiede un'addestramento e una competenza particolare. Di fronte al ripresentarsi di casi di anemia infettiva in Italia, continuiamo a mantenere questo approccio, anche se è palesemente sbagliato e non funziona. Eppure, non sarebbe così difficile: basterebbe introdurre nell'ordinanza ministeriale l'equiparazione tra veterinari liberi professionisti e dipendenti delle aziende sanitarie locali, un semplice rigo all’ordinanza che faciliterebbe il lavoro di tutti.
Il ministero insiste con questo modello, le nostre istituzioni pure, negando l'evidenza, quella che la veterinaria è essenzialmente quella libero professionale. Ci sono compiti importanti della veterinaria pubblica e vanno svolti, ma il lavoro nelle aziende dovrebbe essere fatto dai liberi professionisti, che già operano sul territorio.
Io penso si debba chiedere innanzitutto che da subito i veterinari liberi professionisti siano abilitati ai prelievi in tutta Italia, e il sistema si fondi su di loro. Inutile andare a cercare di dare le colpe alla mancata anagrafe equina, a cose che c'entrano marginalmente.
La veterinaria E' quella libero professionale, non quella pubblica. Fino a quando non cambieremo questa impostazione, non faremo niente. Le norme, le istituzioni, devono essere al servizio della veterinaria professionale, che sola può contribuire allo sviluppo dell'allevamento. La maggioranza dei veterinari è ovviamente libero professionale, anche in un sistema stragonfiato come quello italiano (ASL strapiene di veterinari pubblici), sono i liberi professionisti che debbono essere messi in condizione di operare al meglio, che devono ricevere attenzione.
Eppure, nelle nostre istituzioni, al Ministero, i liberi professionisti non hanno una posizione istituzionale, tutto avviene all'interno di una logica che cresce dalle ASL, dagli Istituti zooprofilattici, i funzionari vanno avanti a parlare di farmaco e di allevamenti senza conoscerne la realtà. Vivono in un loro mondo, senza alcun contatto con la situazione concreta. Ecco perché siamo allo sbando. O cambiamo impostazione, o da qui, con questa gente, non ne usciremo mai. Altro che Anemia Infettiva. Il problema è ben più ampio. E mi sa che qui, piuttosto che cambiare, fanno affondare tutti.
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