Un gentile lettore mi chiede, in suo commento ad un mio post, di parlare di un articolo di Alberto Mondellini, Presidente AISA, pubblicato su 30 giorni, pagina 30.
Molto semplice. Un compitino.
Nel senso che il documento AISA individua delle responsabilità che sono minime. Ma minime davvero. E non bastano.
Dice che le industrie devono "garantire scientificamente qualità, sicurezza ed efficacia del farmaco", e che "lo stringente percorso di ricerca, produzione e immissione sul mercato di un farmaco veterinario, è di per sé una garanzia sufficiente dell'adeguatezza del prodotto".
Ovvio, ma non basta. Le industrie della produzione e commercializzazione non devono inoltre produrre e/o commercializzare farmaco in nero. Qui, o facciamo esercizio di sincerità, o lasciamo perdere. Come è possibile che esista una mole di farmaco veterinario in nero come c'è in Italia? Da dove viene fuori? Che ci siano i veterinari prescrittori, può pure darsi, ma non basta. Che l'industria prenda una posizione decisa contro il farmaco in nero, e faccia la sua parte.
Poi, che gli allevatori NON comprino il farmaco in nero. E che se lo fanno, paghino duramente.
Che i veterinari NON collaborino a distribuire il farmaco in nero, a comprarlo, a favorirlo.
Che il servizio pubblico controlli i distributori, gli allevatori, i veterinari in modo serio e non burocratico.
Che si modifichino profondamente gli armadietti. Passiamo alla ricetta informatizzata, almeno per queste situazioni. Se un veterinario intende operare per un'azienda che vuole la scorta, che si doti dei necessari programmi e la ricetta venga emessa di volta in volta, su animale esattamente identificato, ed inviata sia al farmacista (o grossista) sia all'ASL per via elettronica. Manterrei la scorta, nel senso di una minima dotazione in azienda, ma al posto di un registro dei trattamenti in azienda, una serie di ricette molto più controllate inviate presso le ASL. Non più una scorta che in realtà viene usata liberamente e poi "giustificata" a posteriori, ma un normalissimo uso ed un controllo a priori. Certo, sarebbe una ricetta "a tavolino", ma intanto lo è già, e almeno questa sarebbe controllabile realmente.
Che lo Stato semplifichi le norme, le renda facilmente interpretabili, non confusionarie, non pasticciate, ma poi eserciti la sua funzione di controllo non burocratico.
E che chi sbaglia paghi.
Dovremmo ripensare il farmaco veterinario, in modo serio, e tutti. Purtroppo siamo ancora impegnati in una confusionaria melina di centrocampo.
Per adesso, solo una brutta partita.
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