Continua in Italia il discorso sulle pensioni, ignorando quello che dovrebbe essere il punto fondamentale, e cioè il passaggio da un sistema a ripartizione ad uno a contribuzione.
Nel primo sistema quelli che lavorano pagano la pensione per quelli che sono appunto pensionati. Nel secondo, ciascuno accumula durante la sua fase lavorativa la rendita per la propria pensione.
Insomma, non si discute più su quando si va in pensione: ciascuno ci va quando vuole. Ovviamente riceverà solo per quanto ha pagato. Se vuole pensionarsi dopo dieci anni di lavoro, lo fa.
Per vari motivi, i sistemi pensionistici italiani sono a ripartizione. Questo funzionava in periodo di boom demografico, potrebbe funzionare teoricamente anche in periodo di forte immigrazione (ma solo teoricamente e comunque non nel lungo periodo), ma non in fasi economico-demografiche come l'attuale.
Nel sistema attuale le pensioni vengono pagate dai contribuenti, poche storie.
Come abbiamo già visto capitare in altre occasioni, molte categorie professionali, che hanno casse previdenziali privatizzate (vuol dire che la mia cassa previdenziale, l'ENPAV, non riceverà mai contributi dallo Stato), vengono sostanzialmente vessate. Lo Stato, cioè tutti, paga qualcosa a vantaggio di una parte. Quello che una volta era il "proletariato", ora realizza un vero e proprio sfruttamento di altri lavoratori. Cosa sono i laureati sottopagati, i precari, gli irregolari, se non gli schiavi del popolo del posto fisso? I costi del lavoro "protetto" sono enormi, e allora che soluzioni trova il sistema economico? Sfruttiamo una parte per mantenere i benefici all'altra.
Nuovamente, i lavoratori autonomi sono politicamente muti.
Accanto a professionisti con redditi alti, esiste una maggioranza di autonomi con redditi modesti, che non viene rappresentata da nessuno.
Gli autonomi non hanno TFR, hanno invece pensioni da loro costruite.
Quello che mi interessa qui ribadire è la necessità, per un lavoratore autonomo, che non ha un'azienda da vendere a fine carriera (anche gli studi professionali, molte volte, sono a valore zero o quasi), di crearsi una rendita post lavoro. Per i professionisti, per i Colleghi, per i piccoli autonomi: attenzione! Dobbiamo provvedere in tempo ad una rendita futura, pena trovarci in misere acque.
Qui entra in gioco l'abilità finanziaria, che purtroppo non tutti abbiamo. Esistono i gestori di patrimoni, ma non possiamo aspettarci da altri il nostro guadagno. La regola che un caro amico mi dice in questo settore è "Non pagare un altro per un lavoro che puoi fare tu".
Parte del nostro impegno di lavoro deve andare in questa direzione: risparmiare ed investire. E' una componente essenziale.
I lavoratori autonomi, abituati a sapere che la loro esistenza basta per guadagnarsi da vivere, sono spesso incapaci di pensare a questo aspetto, e rischiano di trovarsi poi al momento della pensione in uno stato di povertà sostanziale. Questo lo sappiamo tutti, a parole, ma poi non facciamo niente, concretamente. Ed è uno sbaglio.
E i veterinari? Ci aspettavamo di più, dall'amico, il nuovo Presidente On. Gianni Mancuso. I pilastri, le riforme, la comunicazione. Macchè. Tutto tace. Esce mezza notizia ogni tanto, addirittura non sappiamo se il Direttore è supplente o definitivo, perché ne siano cambiati due in poco tempo (per intenderci, il Direttore è una figura simile a quella dell'Amministratore Delegato). Anche all'ENPAV il problema del passaggio al sistema contributivo è grave e importante. Sono le nostre pensioni! Cosa succede?
Gianni, ci sei?
Fatti vivo, ci farai piacere...
22 luglio 2007
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1 commento:
Proprio oggi, su La Stampa, un bell'articolo di Pierangelo Sapegno, "L'uomo che guarda passare le vacanze", intervista ad un lavoratore precario, 400 euro al mese di stipendio, che giustamente dice parlando dei sindacati:"Pure loro difendono solo la casta di quelli che stanno gi� bene. Altro che pensioni. A noi non pensa mai nessuno"
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