Una cosa mi stupisce nel grande discorso che ha seguito il decreto sulle liberalizzazioni. Si è rotto in realtà un muro, un muro importante, cioè quello della vendita esclusiva del farmaco nelle farmacie. I veterinari italiani da una vita chiedono di poter distribuire il farmaco veterinario.
Non sto a rivedere tutte le motivazioni che sono dietro questa richiesta, assolutamente legittima e in linea con la situazione dei veterinari in tutto il mondo.
Si è rotto un muro e attualmente la federazione dei supermercati chiede di poter vendere anche il farmaco con ricetta, non solo quelli a vendita libera. Una circolare del ministro Turco stabilisce che possono essere venduti nei supermercati, o comunque negli esercizi commerciali, sempre previa presenza di un farmacista, anche i farmaci veterinari che non richiedono la prescrizione.
Si è rotto un muro ma nessuna voce dalla veterinaria si è alzato per cercare di ottenere un vantaggio dal queste liberalizzazioni, e cioè di poter vendere, distribuire il farmaco veterinario.
I vantaggi per il consumatore sono evidenti: i costi minori, maggiore semplicità, più efficienza. Totalmente in linea con quello che è lo spirito del decreto sulle liberalizzazioni, almeno nella parte che non riguarda gli argomenti fiscali.
Perché nessuno dei nostri rappresentanti vuole cogliere questa occasione? Perché non ci si trova, dopo aver detto per anni ai veterinari che questo sarebbe un passo di miglioramento della professione, dal punto di vista economico e non solo?
Possiamo cercare di dare una risposta, analizzando la situazione. Molto probabilmente si teme di creare un attrito con i farmacisti, rompendo un'apparente integrità del fronte di protesta sulle liberalizzazioni. In realtà questa integrità è apparente, ma non sostanziale. Già da adesso ciascun settore professionale mira a portare a casa i vantaggi per la propria categoria fregandosene di quelle che sono le esigenze degli altri.
Per gli avvocati il discorso dei minimi coinvolge il pagamento da parte dello Stato del gratuito patrocinio, per i farmacisti si sono avviate delle rivendicazioni di settore che hanno portato ad alcuni chiarimenti importanti riguardante la distribuzione del farmaco. Ciascuno è impegnato in una sua battaglia personale, ma dobbiamo riconoscere che in effetti racchiudere sotto un unico ombrello, quello delle libere professioni, tutti gli scontenti del decreto sulle liberalizzazioni è una manovra abbastanza azzardata ed in fondo anche menzognera.
Le esigenze, le necessità di ogni professione si caratterizzano per aspetti specifici, che non riusciamo ad unire. La difesa dei minimi è di importanza diversa per gli avvocati rispetto alle altre professioni, anche alla nostra. La creazione di società tra professionisti di settori diversi non è così importante per i veterinari come lo è invece per i commercialisti. Per la nostra categoria uno dei punti più critici potrebbe essere la libertà di movimento che viene concessa alle società di capitale che impieghino i veterinari. Per essere concreti, potrà capitare che associazioni di protezione degli animali, a volte con carattere politico, utilizzino i veterinari dipendenti per effettuare prestazioni con motivazione politica, di tesseramento. In altri termini, una qualsiasi lega protezionistica potrà praticare nel proprio ambulatorio delle prestazioni in totale libertà, non considerando il reddito che tali prestazioni producono, ma cercando unicamente il tesseramento per fini magari politici.
Che cosa dovremmo fare noi, veterinari, per evitare i pericoli insiti in queste situazioni? Il dibattito deve aprirsi, e deve essere molto trasparente. Una proposta è quella di tutelare e regolamentare molto rigidamente il rapporto di dipendenza del veterinario per una qualsiasi società o associazione di non veterinari. In altri termini, stabilire che la responsabilità è esclusivamente del sanitario e creare dei meccanismi di difesa di questa responsabilità che facciano si che il rapporto sia sempre personale e diretto tra il veterinario e il proprietario dell'animale.
Ogni professione ha una propria specificità. In questo senso, ci sembra che l'esperimento dei Comitati Unitari delle Professioni abbiano un pochino il fiato corto, sia a livello nazionale che provinciale. Abbiamo assistito in questi anni, sia pur con lodevoli sforzi dei componenti questi comitati, a litigate, questioni di piccolo potere, basso cabotaggio. Alla fin fine, i comitati, che pure sembravano promettenti almeno come metodo per portare avanti le giuste rivendicazioni delle categorie, si sfaldano in realtà molto facilmente, non riuscendo a creare una vera proposta di riforma della rappresentanza delle categorie.
In questo contesto, sembra suicida la mossa di non chiedere la vendita del farmaco veterinario affidata ai veterinari. Va richiesta e con forza. Perché è giusta, corretta, perché rappresenta la moderna evoluzione del nostro lavoro. Non possiamo essere sempre e solo gravati da burocrazia, da registri, da una serie di incombenze senza ottenerne qualche vantaggio.
Bisogna chiedere vivamente alla FNOVI, agli Ordini, che vengano avanzate delle corrette e forti rivendicazioni in questo settore. Se qualcuno non ha la voglia o il coraggio di farlo, che lo ammetta almeno apertamente.
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