17 febbraio 2007

Il decoro, questo sconosciuto

Come uno slogan, come un luogo comune, purtroppo, l'aggettivo "decoroso ‘", la parola "dignità" ha riempito le bocche dei commentatori sulle liberalizzazioni, o meglio sulle polemiche che hanno seguito il decreto delle liberalizzazioni di quest'estate.

È strano come la qualità di decoroso venga riferita essenzialmente agli aspetti economici, piuttosto che a quelli morali, etici, della professione.

La dignità è invece correlata all'etica, non al denaro. Si può essere dignitosamente poveri, si può essere dei ricchi mascalzoni. Sarà un discorso ormai passato, certamente antico, ma comunque non capovolgibile: il decoro, la dignità della professione non sono legati a quanto si guadagna, ma a cosa si fa. Non necessariamente occorre essere poveri per essere dignitosi, non necessariamente occorre essere ricchi per essere dignitosi.

Non è che con questo non vogliamo affrontare il problema dei minimi e del loro riflesso su una professione, su quello che è è il giusto diritto di un lavoratore a veder riconosciuto il proprio operato, anche dal punto di vista economico. Quello che ci stupisce è il fatto che nessuno ha mai fatto qualcosa per il decoro della professione, per la sua dignità, mentre ora tutti si scoprono i paladini delle qualità morali. Il fatto è che sbagliano bersaglio, perché si riferiscono essenzialmente a fattori economici.

Parla per la propria serietà l'operato fatto in tanti anni, più che le parole, di cui è molto facile abusare. Dobbiamo riconoscerlo: gli Ordini sono stati assenti, latitanti, dal discorso che riguarda il decoro della professione e dei professionisti, in tanti anni. Personalmente ho visto i peggiori misfatti in anni di frequenza all'ordine.

Ho visto molestie sessuali, animali sbattuti per terra, comportamenti eticamente scandalosi. Molte volte mi sono scontrato con l'impossibilità di affermare con certezza questi comportamenti negativi, semplicemente perché gli Ordini mica hanno una polizia, manca una forza per poter contrastare il semplice fatto che il sanitario venga lì e dichiari "no, quello che c'è nell'esposto non è vero. Ecco la mia verità... ". Sono situazioni che tutti i componenti di qualsiasi Consiglio provinciale conoscono: trovarsi nell'impossibilità di amministrare la giustizia, perché troppo deboli. Bisogna anche essere spietatamente sinceri: in molti casi si è anche avuta condiscendenza, quasi complicità, ammettiamolo tristemente. La giustizia tra colleghi non è la giustizia migliore, riconosciamolo.
Il rigore viene sempre visto come un'esagerazione, come un "cosa vogliamo fargli a questo, fucilarlo? ".
Le sanzioni sono sempre ridicole. Si va dalla stupida censura alla cretina ammonizione, sanzione che all'atto pratico non esiste, sanzioni totalmente inutili. Anche la sospensione viene spesso ingannata, sia con l'uso di prestanome, sia con i cavilli più degni dell'italiana tradizione. Siamo arrivati al punto che è possibile proclamare una autosospensione e far decorrere arbitrariamente la sanzione dalla data che si sceglie personalmente.

Il rigore è sempre malvisto, in tutti i settori. Lo dice uno che ha ritenuto, e ritiene corretto, che i candidati all'esame di Stato non preparati debbano essere bocciati. Per questa mia posizione mi sono trovato contro praticamente tutti, ma non me ne lamento.

Quello che occorre fare veramente è rivalutare l'etica, rimetterla al centro della nostra professione e soprattutto al centro dell'operato degli Ordini provinciali.

Occorre riformare gli Ordini e renderli veramente efficienti. Dobbiamo occuparci innanzitutto dei loro doveri, dei nostri compiti, e principalmente quello di salvare il decoro della professione, più che occupandoci di prezzi, occupandoci di etica, quella vera.

Come parere personale, penso che occorra introdurre delle figure esterne alla categoria: l'esperienza ci ha dimostrato che troppo spesso la giustizia professionale è una giustizia complice. Non deve essere nemmeno giustizia colpevolista, però non si può essere teneri verso chi offende i valori fondamentali del nostro lavoro. Occorre probabilmente introdurre nella rappresentanza degli Ordini, in qualche modo, delle figure terze.

Gli Ordini vanno innanzitutto salvati da loro stessi. Sono istituzioni antiche, nobili, che rappresentano un alto punto di civiltà, se bene utilizzati. Negli Ordini lo Stato delega una funzione importante come la giustizia deontologica a un comitato di pari. È un beneficio molto importante, che consente di avere una migliore giustizia in un settore estremamente delicato.

Questo beneficio gli Ordini lo hanno guadagnato storicamente e ora devono meritarselo, rispettando il loro compito. Il declino degli Ordini, iniziato soprattutto negli ultimi venti anni, deve essere invertito. Per continuare a crepare lentamente, allora molto meglio chiudere. Non assumersi le proprie responsabilità, i propri compiti, è il primo modo per morire. Non rispettare questi compiti ha anche una funzione dannosa sia sulla categoria che sulla società. Non voglio dire che si rischi la barbarie, ma in ogni caso anche la società ha un danno dal mancato funzionamento degli Ordini. Se vogliamo essere valutati positivamente dalla società non possiamo sottrarci dai nostri doveri.

È stupido, io trovo anche vergognoso, lanciare il piagnisteo sul fatto di non essere considerati e poi non riuscire a produrre un minimo di progetto serio, che non sia di carattere corporativo ma comprenda tutta la società intera.

Dobbiamo veramente salvare il decoro della professione, ma non partendo dai soldi. Il primo passo è l'etica. Non servono grandi riforme, investimenti, convegni. Occorrono dei meccanismi di controllo che obblighino tutti a fare il loro lavoro, nel caso degli Ordini, attività di volontariato essenziale per la categoria, la loro attività di giustizia per il bene di tutti. Il sistema strutturale è a mio parere quello che con esperimento pilota e sottovalutato ha lanciato l'Ordine di Roma con il comitato per la bioetica nella veterinaria. Un comitato dove si ritrovano diverse figure che hanno attinenza con il settore del nostro lavoro. Occorre la partecipazione di filosofi, allevatori, associazioni di protezione degli animali, tutte le componenti della veterinaria, insomma un vero e proprio comitato. Non è facile, è un compito delicato e qui molto dovremmo prendere dall'esperienza dell'Ordine di Roma, esperienza che è stata colpevolmente sottovalutata dalle nostre istituzioni.

Pasqualino Santori, uomo scomodo e di grande intelligenza, che ha tra l'altro svolto prestigiosi incarichi, è stato emarginato dal nostro sistema di democrazia veterinaria semplicemente perché non è persona che si presti a dire facilmente si. La nostra FNOVI, con lui come con altri, con la rappresentanza migliore, con gli uomini della veterinaria migliori, ha approvato una politica di esclusione. Si è preferita quella dell'appartenenza. A determinati gruppi e non a altri. Questo è il vero motivo del declino.

Occorre veramente salvare gli Ordini, ma soprattutto da se stessi. Ci siamo occupati troppo di denaro e poco di etica. Abbiamo fatto parlare gli uomini di scuderia e non gli uomini intelligenti. Chiedo scusa, "hanno fatto "parlare.

Noi, eravamo di opinione diversa.

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