10 gennaio 2017

Cosa succede nel mondo delle corporation veterinarie americane?

Una premessa: in tutto il mondo sono diffuse le "catene" di veterinari, con modalità diverse. Andiamo dalle catene di proprietà a quelle in cui una centrale operativa fornisce il management per gli associati, che si impegnano a seguire determinate regole (potrebbe essere la referenza interna al gruppo, o gli acquisti centralizzati, oltre al marchio comune).

La notizia è che Mars Inc., proprietaria di circa 900 cliniche, intende acquistare VCA e a una cifra ragguardevole, circa 9 miliardi di euro, inclusi 1,5 miliardi di debiti di VCA, che è a sua volta proprietaria di circa 800 cliniche negli USA. Insomma, il più grande business veterinario nella storia planetaria.

La questione è complessa: nessuna delle due società è ben vista tra i professionisti americani, fatti salvi ovviamente quelli che aderiscono alle catene professionali. Nessuna delle due società è creata da veterinari, e gli amministratori delle due società guadagnano molto di più di qualsiasi veterinario sulla faccia della Terra: fanno un lavoro diverso, vero, ma questo non basta a garantir loro la simpatia.

Quale è l'importanza per l'Italia? Poca o nessuna, ma probabilmente varrebbe riflettere su alcune domande, chiederci se la qualità della professione ne guadagna o ne perde, se in un futuro queste cose potranno avvenire anche in Italia, cosa cambierebbe, chi ne guadagnerebbe. Diciamo che a tutt'oggi esperimenti di questo genere sono in Italia limitati ad una catena, il gruppo CVIT, che più di tanto non è riuscito a sfondare, in Italia, e che differisce dall'idea americana sia perché non c'è un acquisto diretto di strutture, sia perché non c'è una grande trasparenza sulle modalità di associazione, almeno a quello che è dato di leggere pubblicamente.
In ogni caso, niente ci vieta di ipotizzare che i privati investano nel settore veterinario, facendo lavorare i professionisti come dipendenti, più o meno cointeressati agli utili.

Intanto teniamo presente che Mars ha così tanti soldi perché proprietaria delle più diffuse marche di
cibo per animali. Potremmo immaginare  che all'interno dei propri ospedali nessuno critichi la qualità di questi elementi, ad esempio, o comunque ci sia una difficoltà nel farlo. La formazione di catene implica anche un diverso modo di lavorare del professionista, e mediamente un aumento dei costi per il proprietario. In altri casi, in catene inglesi, ad esempio si hanno dei veterinari molto di base che poi si riferiscono anche per chirurgie semplici all'interno della propria catena, con un allungamento della filiera che non necessariamente è vantaggioso.

In ogni caso, confrontarsi con un panorama simile è interessante, stimolante, e mi pare un utile esercizio di ginnastica mentale. Insomma, anche in una situazione così disastrata come quella della veterinaria italiana, vale la pena guardare alla finestra, curiosare un pochino fuori. Così, anche solo per respirare un po' di aria diversa…

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